
Luci fotografiche per la staged photography che creano atmosfere suggestive, contrasti fibrillanti e punti luce strategici.
Una pratica fotografica artistica molto diffusa all’interno del discorso contemporaneo sul linguaggio visivo è la cosiddetta staged photography. Letteralmente il termine si riferisce a qualcosa di allestito, messo in scena e, quindi, non prettamente estrapolato dalla realtà così come si presenta. A ben vedere non c’è niente di nuovo sotto il sole: pose e set sistemati a regola d’arte fanno da sempre parte della pratica fotografica ritrattistica e commerciale pressoché dagli albori. Metodologie o gesti concertati che oggi si piegano alla narrazione di fatti di attualità o stati d’animo generazionali, fino al paradosso. Anche il reportage e il giornalismo comunque non disdegnano l’uso della staged photography, per ricostruire vicende e storie, secondo il principio della docu-fiction. E le luci fotografiche per la staged photography?
Le caratteristiche della luce
Caratteristica distintiva della staged photography, oltre all’idea perfettamente studiata che sta alla base della messa in scena, è la luce. Spesso si nota, in questo particolare genere, come anche lo schema delle luci fotografiche sia frutto di uno studio ben preciso e come queste contribuiscano a restituire un’atmosfera che si può dire cinematografica, sottolineando dettagli particolari o dipingendo scenari molto surreali. Vediamo attraverso le immagini di alcuni dei maggiori esponenti della staged photography contemporanea quali luci studio fotografico poter usare e in che modo, per ottenere foto dal potente impatto comunicativo e emotivo. Anche con lampade fotografiche alla portata di tutti e che sono facilmente reperibili.
Luce che disegna: i tableau vivant
Il nome che subito si associa alla staged photography odierna è quello di Gregory Crewdson. Famoso per i suoi allestimenti imponenti, con grande dispiegamento di mezzi e di azioni sincronizzate, che ricordano una vera e propria performance.

Possiamo immaginare di ricostruire un set del genere anche in un contesto casalingo. Molto importante, oltre alle luci fotografiche, il posizionamento degli oggetti sullo sfondo e l’equilibrio degli spazi, vuoti e pieni, in luce e in ombra. Importantissima anche la disposizione degli elementi verticali, che incorniciano il soggetto principale e suggeriscono le diverse aree presenti all’interno dell’inquadratura, quasi come in una pala d’altare.
Gli strumenti usati
Analizzando l’immagine si notano almeno 3 diverse fonti luminose. Quella principale e frontale, che illumina in maniera netta parte del soggetto. Si potrebbe ipotizzare essere realizzata con un flash strobo corredato da un beauty dish, oppure da un pannello LED con un sagomatore rotondo posto davanti. La luce principale appare più fredda rispetto alle luci studio fotografico di riempimento, come quella che rischiara dall’alto l’ambiente retrostante e delinea appena gli scalini. Nelle stanze su fondo pare esser stata lasciata la luce accesa.
Per le luci di riempimento si consigliano pannelli LED, eventualmente schermati con una gelatina gialla o arancione o regolati su una temperatura intorno ai 3200K. Comunque il concetto è rendere più caldo il colore del fascio luminoso emesso dalle lampade fotografiche secondarie. Da considerare anche la tinta degli elementi in scena e fare in modo che siano equilibrati: la maglia bianca è un elemento cardine della scena qui immortalata.

Anche nelle altre immagini realizzate da Crewdson per la serie “Dream house” si evince come la luce, in scena e fuori scena, giochi un ruolo fondamentale nella resa dell’atmosfera teatrale e inquietante di questi personaggi sospesi in un incubo, più che in un sogno: ogni minimo dettaglio è calcolato, ogni riflesso voluto. Così parlano le luci fotografiche per la staged photography.

I dettagli nell’inquadratura
Un risultato visivo abbastanza analogo a quello di alcune opere di Jeff Wall. Ogni dettaglio all’interno dell’inquadratura ha un significato preciso, come nei dipinti rinascimentali. Tutto concorre a ricostruire l’accaduto, fa parte dello storytelling, dal tipo di oggetti e suppellettili, alla loro posizione. Niente è davvero familiare all’interno della scena, nemmeno la luce che la squarcia, invadente. Anche su questo palcoscenico si recita l’allegoria del disagio, dell’inquietudine e della disperazione. Le luci fotografiche impiegate sono più semplici rispetto agli schemi di Crewdson, si ipotizza grandi e abbastanza diffuse, ma non tanto da eliminare il contrasto.

Luce che rivela: uno squarcio sulla realtà
Philip-Lorca diCorcia, rappresenta scene ed episodi del vivere comune come se fossero fotografie di scena o estrapolate da un film. In questo modo la banalità del quotidiano viene messa in evidenza, come su di un cartellone pubblicitario. Si crea così una sorta di corto circuito semantico ed emozionale. Torna di nuovo l’uso di quel linguaggio che mescola documentazione e romanzo.
Tra i filoni principali dell’opera di diCorcia, la mimesi con il reale, caratterizzata dall’”inganno” della minuziosa progettazione di ogni singolo frame e, successivamente, i ritratti a persone immortalate in modo casuale in giro per il mondo. In questo secondo caso vengono nascoste delle luci fotografiche nell’ambiente (ad esempio nei pavimenti o collocando dei flash sopra luoghi d’intenso passaggio) per isolare alcuni soggetti dal contesto circostante.

Commistione luce naturale e artificiale
Nell’immagine a sinistra, una vera foto staged, la luce naturale dell’ora del tramonto esterna si mescola con il flash posizionato all’interno della vetrata del locale. La luce artificiale rivela e simbolizza alcuni elementi della cultura pop e consumistica in cui si muove e vive il soggetto principale. Il connubio delle diverse fonti luminose suggerisce tensione drammatica e psicologica. Lo scatto all’interno della serie si chiama “Eddie Anderson; 21 years old; Houston; Texas; $20”. Il nome dell’opera si riferisce direttamente al nome, età, luogo di nascita e compenso corrisposto dal fotografo al protagonista dello scatto per posare. Come a dire: “Questo è il prezzo dei sogni?”.
La foto a destra è quella di un soggetto ripreso casualmente in mezzo alla folla, evidenziato e estrapolato dal contesto per mezzo della sola luce flash. Non è quindi una vera e propria immgine di staged photography studiata a monte.
Per la realizzazione di scatti del genere, come luci fotografiche per la staged photography, possono essere sufficienti una o più unità di flash esterni, da poter collocare in luogo e sincronizzare in maniera agile. Pratici da portare in giro, i flash esterni rappresentano la scelta migliore per chi svolge la sua ricerca prevalentemente “on the road”. Flash strobo da studio possono essere posizionati in modo strategico, per un risultato ancora più enfatico, così come i ring flash.
Luce naturale nella staged photography
Le lampade fotografiche utilizzate in maniera molto evidente sono un tratto distintivo della staged photography, impiegate per rendere la scena irreale e sospesa. Tuttavia anche la sola luce naturale può essere in grado di delineare suggestioni intense. Come nelle immagini di Cristina Coral: affezionata a uno dei temi principali della messa in scena, ovvero lo spazio interno, in stanze che sono più che altro stati psicologici. Oltre alla ricerca della posa e del taglio di ogni singola fotografia, si nota come spesso la luce del sole che filtra dall’esterno illumini in maniera più o meno morbida le sue composizioni concettuali.
Non di rado i protagonisti dell’immagine sono un’ombra portata da un oggetto o da una pianta o la luce che squarcia la penombra, filtrando dalle aperture di un’ambiente. Per realizzare foto simili possono essere tuttavia utili pannelli riflettenti o softbox, per accentuare il contrasto in alcuni punti, e poche luci fotografiche usate a bassa potenza per evitare che si perdano i dettagli del contesto. In altre immagini, sempre la Coral, invece “colpisce” nettamente il soggetto con un lampo flash, come se lo catturasse mentre agisce sapendo di non essere visto.

Luce nel ritratto staged
La camaleontica artista Cindy Sherman ha fatto dell’autoritratto e del travestimento la sua cifra stilistica. Sherman impersona soggetti eccentrici ed eccessivi, soprattutto donne molto truccate, vittime di un culto della bellezza che ha prodotto l’effetto opposto, rendendole stereotipi. Dive decadenti e barocche. Famoso il suo lavoro sui video still, in cui la finzione si sovrappone…alla finzione.
Qui l’artista sembra l’attrice di alcuni film, immortalata in un fermo immagine. Le luci fotografiche impiegate sono praticamente le luci cinematografiche, le ring light, i flash strobo e tutto quanto quello che si trova su di un classico set. Luci studio fotografico, fondali più o meno creativi o classici, fondali video: tutto concorre alla realizzazione di un ritratto in posa.

Affine a tale ricerca, quella di Kourtney Roy: donne che provengono direttamente dallo stereotipo anni ’50, “angeli del focolare” calate in situazioni surreali e viziose, a cavallo tra la ricerca sulla falsità dell’esistenza e la fotografia di moda. Ecco che si nota come non di rado un semplice fondale un po’ kitsch possa rendere ironica o visionaria una foto.

Concludendo
La staged photography è un genere fotografico sempre più praticato e riconosciuto nella produzione artistica e documentaria. Ovvero Si tratta probabilmente del genere che richiede l’utilizzo di più luci fotografiche: sembrano loro le vere protagoniste delle fotografie, delineando ogni particolare in modo preciso e studiato. Sia appunto per le luci fotografiche per la staged photography usate che per le pose orchestrate appositamente, la staged photography produce immagini di grande impatto, molto apprezzate dalle gallerie d’arte. Comunque un fare totalmente adattabile anche alla fotografia commerciale e allo still life, da dove in definitiva ha origine.



